Orto di Montagna

La musica (e l’arte) in un’epoca “post-carbonio” (orig.: Post Carbon Music)

COS’E’: Questo articolo contiene una traduzione di un post originale, che è il “full transcript” cioè la trascrizione integrale di un intervento al New England Conservatory of Music(*) che si può trovare qui
(*) Il 30 novembre 2017 al New England Conservatory of Music, Richard Heinberg, Senior Fellow del Post Carbon Institute, ha eseguito la “Sonata Concertata per chitarra e violino” di Paganini e ha parlato di cosa potrebbe significare il futuro per i giovani musicisti e artisti di oggi e il ruolo importante che potranno giocare nella trasformazione della società. Qui il video YouTube, che comprende l’esecuzione musicale originale.
CHI (AUTORE): Richard Heinberg è autore di oltre una dozzina di libri, fra cui alcuni titoli di fondamentale importanza per capire l’attuale crisi energetica e di sostenibilità ambientale ed ecologica. Ha tenuto centinaia di lezioni e interventi alle tematiche del cambiamento climatico e le interconnessioni con i temi di energia e crescita, in 14 paesi nel mondo. E’ Senior Fellow del prestigioso Post Carbon Institute, che alla base della propria visione “immagina un mondo di comunità resilienti e di economie ri-localizzate che prosperano entro limiti ecologici”.
QUANDO: Pubblicato a dicembre 2017 sul sito originale


di RICHARD HEINBERG

Nei prossimi minuti spero di condividere con voi almeno un po’ di quello che ho imparato sulla probabile traiettoria della società industriale per il resto di questo secolo, e alcuni ragionamenti sul possibile ruolo della musica e delle arti  all’interno di quella traiettoria. Forse il modo migliore per presentare le idee e le informazioni che voglio condividere è raccontarvi una parte della mia storia personale.
Sono cresciuto negli stati del Midwest USA negli anni ’50 e ’60, dove i miei interessi oscillavano tra le scienze (mio padre era un chimico industriale) e le arti: amavo disegnare e dipingere e all’età di 11 anni mi innamorai della musica classica. Chiesi ai miei genitori di procurarmi un violino, e fortunatamente quando lo fecero mi pagarono anche delle lezioni con il direttore dell’orchestra sinfonica locale, un gentiluomo di nome Louis Riemer, che aveva studiato fra l’altro con Leopold Auer alla Juilliard School. Il professor Riemer mi ha fornito una buona base tecnica sullo strumento, di cui gli sarò sempre grato. Ma, proprio mentre mi diplomavo alle superiori e mi orientavo per gli studi al college, la Summer of Love e la guerra del Vietnam si erano impossessate dell’America. Improvvisamente, l’esecuzione dei quartetti Haydn sembrava molto meno interessante.
Alla University of Iowa ho continuato con le lezioni di musica e suonato nell’orchestra, ma impiegavo sempre più il mio tempo a partecipare alle proteste, a sperimentare droghe psichedeliche e ad ascoltare i Grateful Dead. Ho appreso da solo a suonare la chitarra e ho trascorso i seguenti sette anni a suonare “professionalmente” chitarra elettrica e violino elettrico in gruppi rock. Ma dopo il college è accaduto qualcos’altro, che alla fine mi avrebbe indirizzato verso un percorso completamente diverso: ho iniziato a leggere letteratura ambientale.
The Limits To Growth: (…)  nei loro modelli e simulazioni, la crescita globale della popolazione e la produzione industriale potevano essere mantenute solo per pochi decenni.
Probabilmente il libro più influente che ho incontrato all’epoca era The Limits to Growth (“I Limiti dello Sviluppo” in italiano, NdT/R). Un team di giovani scienziati e specialisti in un nuovo campo chiamato Dinamica dei Sistemi (System Dynamics), lavorando al MIT di Boston, aveva utilizzato per la prima volta il computer per modellare le probabili interazioni tra le risorse della Terra, la popolazione umana, i livelli di inquinamento, la produzione alimentare e altri fattori fondamentali dell’economia. Indipendentemente dal modo in cui faceva elaborare al software i dati di input, hanno scoperto che, nei loro modelli e simulazioni, la crescita globale della popolazione e la produzione industriale potevano essere mantenute solo per pochi decenni. Anche il raddoppio delle risorse della Terra avrebbe rimandato l’inevitabile picco e il declino solo di pochi anni. L’unico modo per generare uno scenario senza un “crash” cioè uno schianto (di tutto il sistema umano, NdT/R)  era quello di modellare le politiche per porre fine alla crescita della popolazione, nonché ridurre drasticamente i tassi a cui stiamo consumando risorse. In altre parole, l’unico modo per evitare il collasso della civiltà era di ridimensionare volontariamente tutto ciò che stiamo facendo che implica l’interazione con il mondo fisico che ci circonda. All’epoca, gli autori di Limits to Growth erano ottimisti sul fatto che, una volta che i responsabili politici avessero compreso le alternative e le conseguenze, avrebbero scelto di limitare la popolazione e il consumo.
Tuttavia, l’idea che la crescita economica avrebbe potuto presto schiantarsi contro i limiti del pianeta si rivelò estremamente sgradita agli economisti e ai politici, che erano arrivati a contare sulla crescita senza fine dell’economia per fornire posti di lavoro per i lavoratori, profitti per gli investitori e maggiori entrate fiscali per governi. Apparvero articoli su New York Times, Newsweek e altre pubblicazioni di spicco, che pretendevano di ridimensionare l’idea dei limiti naturali. Ronald Reagan avrebbe presto insistito sul fatto che “Non ci sono cose come limiti alla crescita, perché non ci sono limiti alla capacità umana di intelligenza, immaginazione e meraviglia”.
Questo è sicuramente un bel modo di sentire. Ma, naturalmente, gli scienziati del MIT non avevano modellato l’intelligenza, l’immaginazione o la meraviglia. Stavano esaminando le risorse minerarie, la fertilità del suolo e la capacità dell’atmosfera e degli oceani di assorbire rifiuti e inquinamento. L’immaginazione e la meraviglia sono fantastiche, ma da sole non aumentano le dimensioni della copertura forestale mondiale o il numero di pesci negli oceani. In realtà, il rifiuto dello lo studio del MIT si basava spesso se non sempre sul gettare molto fumo negli occhi della pubblica opinione.

Una serie di ricerche successive ha supportato e confermato gli studi e gli scenari delineati dai Limits to Growth. Il software  utilizzato nel 1972 era “primitivo” secondo gli standard attuali, ma da allora ha ricevuto continui e regolari aggiornamenti. I dati, inoltre, si sono evoluti  nei decenni successivi. Oggi è possibile utilizzare programmi software molto aggiornati con le cifre più recenti su popolazione, risorse, produzione alimentare e produzione industriale e cambiamenti climatici, e in sostanza gli stessi scenari si riformeranno davanti ai nostri occhi sullo schermo del computer. Lo scenario “standard run”, in cui i responsabili politici continuano a cercare la maggiore crescita possibile, mostra sempre un picco e un declino nella produzione industriale mondiale verso la fine del primo quarto di questo secolo, seguito da un calo della produzione alimentare, quindi un calo della popolazione. Ed ora eccoci proprio qui, che ci avviciniamo rapidamente alla fine del primo quarto del secolo.


Cinque anni dopo la pubblicazione di The Limits to Growth, stavo vivendo i “miei limiti”, in termini di successo nella scena musicale del rock commerciale. Guardando indietro a quel tempo, posso dire che è stata una cosa molto buona. Fare musica è spesso meraviglioso, ma il business musicale altrettanto spesso non lo è. Con i miei interessi che si allontanavano verso altre materie, ho iniziato quindi a scrivere saggi, che erano il mio modo per dare un senso al mondo. Le mie cose iniziarono a essere pubblicate e presto mi scoprii che mi stavo guadagnando da vivere … con le parole.
In effetti, all’epoca stavo raccontando quella che era la fase iniziale di una società in collisione con i limiti naturali, proprio mentre ciò stava accadendo. Ecco l’elenco dei punti, attualizzato:
  • stiamo perdendo 25 miliardi di tonnellate di suolo (terriccio) all’anno a causa dell’agricoltura industriale.
  • Allo stesso tempo, stiamo aggiungendo 80 milioni di nuovi esseri umani in più ogni anno, con la nostra popolazione che cresce di circa un miliardo ogni 12 anni.
  • Nel frattempo, il pianeta sta reagendo al riscaldamento globale innescato dall’uomo: i ghiacciai e il permafrost si stanno sciogliendo, i mari si stanno alzando e il ritmo di tutto ciò sta accelerando.
  • Le popolazioni di animali selvatici globalmente sono diminuite di quasi il 60% dagli anni ’70 e le specie si estinguono a 1.000 volte il normale tasso di crescita.
  • Le barriere coralline sane potrebbero essere completamente scomparse entro il 2050 e per allora gli oceani potrebbero essere quasi completamente privi di pesce a causa dei cambiamenti climatici, della pesca eccessiva, dell’inquinamento e della perdita di habitat.

Il principale “motore” di tutto ciò era infatti costituito da fonti di energia economiche e concentrate sotto forma di carbone, petrolio e gas naturale: i combustibili fossili.
Nel corso degli anni, ho scritto diversi libri sull’esaurimento dei combustibili fossili, ho scritto inoltre una lunga relazione sull’insostenibilità del nostro attuale sistema alimentare, ho studiato e discusso il cambiamento climatico e altri problemi di inquinamento. Ho anche prodotto un libro nel 2011 intitolato “The End of Growth” (La fine della Crescita, NdT/R), che spiega in dettaglio come in effetti stiamo vivendo proprio dentro lo scenario “standard run” dal 1972.
Lungo questa strada, ho inoltre cercato di soddisfare la mia curiosità per quanto riguarda una questione: “Come e perché gli umani si sono messi in questo pasticcio?” Trovare le risposte richiedeva approfondimenti di storia e antropologia.
Così si scopre che, mentre noi umani abbiamo ampliato la nostra “copertura” sulla terra  e alterato gli ambienti per millenni, i nostri sforzi “hanno messo il turbo” a partire dal diciannovesimo secolo. Il principale “motore” di tutto ciò era infatti costituito da fonti di energia economiche e concentrate sotto forma di carbone, petrolio e gas naturale: i combustibili fossili. Questi erano un dono “unico” (cioè, non rinnovabile, NdT/R) dalla natura, e hanno cambiato tutto.
L’energia è essenziale per tutto ciò che facciamo, e con un’energia economica, abbondante e concentrata è diventato possibile molto o tutto ciò che prima era inimmaginabile. Abbiamo usato tecnologie di nuova invenzione per canalizzare questa improvvisa abbondanza di energia verso progetti su cui tutti erano d’accordo: coltivare e ottenere più cibo, estrarre più materie prime, produrre più prodotti, trasportare noi stessi e le nostre merci più velocemente e su distanze maggiori, sconfiggere le malattie con la medicina moderna, intrattenerci nel tempo libero e proteggerci con armi sempre più avanzate. Abbiamo usato alcuni dei nostri combustibili fossili per produrre elettricità, un vettore energetico estremamente versatile che, tra le molte altre cose, ha permesso di amplificare, registrare e riprodurre la musica su un vasto assortimento di media (cioè, mezzi di comunicazione). Per farla breve, i combustibili fossili hanno aumentato il nostro potere sul mondo che ci circonda e il potere di alcuni di noi rispetto agli altri.
Ma la nostra crescente dipendenza dai combustibili fossili era, almeno per due aspetti, una specie di “accordo con il diavolo”. In primo luogo, estraendo, trasportando e bruciando questi combustibili, l’aria e l’acqua si sono progressivamente e sempre più inquinate, causando un cambiamento inizialmente piccolo ma in graduale accelerazione nella chimica dell’atmosfera planetaria e degli oceani del mondo. In secondo luogo, i combustibili fossili sono risorse limitate, non rinnovabili ed esauribili, che sfruttiamo secondo la logica del “prendere per primo il frutto più in basso”. Ciò significa che, mentre li estraiamo e li bruciamo, ogni nuovo aumento/incremento comporta maggiori costi monetari ed energetici, oltre a un maggiore rischio ambientale. Basare la nostra intera economia sul tasso sempre crescente al quale bruciamo un rifornimento di combustibile cioè una risorsa “finita” (cioè, non infinita, NdT) è la definizione stessa di stupidità. Eppure lo facciamo con una brillante efficienza tecnica.
I combustibili fossili ci hanno reso la specie vivente di maggior successo, in grado di aumentare il nostro numero e il consumo medio pro capite, e abbastanza potente da rubare rapidamente quantità crescenti di spazio ecologico alle altre creature sul pianeta. Questo successo ha avuto gravi effetti collaterali, tra cui l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, il declino e l’estinzione di un elenco (in rapida crescita) di altre creature e la crescente letalità della guerra. I combustibili fossili hanno reso possibile una rapida crescita economica, eppure l’espansione della capacità di carico della Terra per gli esseri umani, basata sui combustibili fossili, è inevitabilmente destinata a dimostrarsi temporanea, proprio come quei combustibili stessi. Come i batteri in rapida proliferazione in una piastra di Petri, siamo destinati a consumare i nostri nutrienti e ad affrontarne le conseguenze.
Nel 1997, sono stato invitato ad aiutare a progettare e insegnare in uno dei primi programmi universitari sulla sostenibilità. Dieci anni dopo, sono entrato a far parte del think tank del Post Carbon Institute, posizione che occupo tuttora felicemente.

In tutti questi anni c’era sempre, anche, la musica. Ho suonato per matrimoni e orchestre, e mi sono divertito con concerti e sessioni con quartetti d’archi e trii d’archi, e duetti con chitarra o pianoforte. A tutt’oggi, trascorro ancora due ore al giorno a fare pratica sullo strumento – un’ora di scale, arpeggi ed etudes, seguiti da un’ora o più di repertorio – facendo del mio meglio per affinare la mia modesta tecnica e imparare nuova musica. È quasi sempre il momento clou della mia giornata.


quale ruolo potrebbero avere la musica e le arti in generale come parte della nostra risposta umana al cambiamento climatico e allo sfondamento dei limiti ecologici?
In che modo queste due attività – scrivere sulla nostra crisi ambientale e suonare musica – riescono a combinarsi e incastrarsi? E, a un livello più profondo, quale ruolo potrebbe avere la musica e le arti in generale come parte della nostra risposta umana al cambiamento climatico e allo sfondamento dei limiti ecologici? Nel film “Titanic” (1997), Wallace Hartley, violinista e leader della band sulla sfortunata nave, si rivolge ai suoi compagni di gruppo mentre l’acqua si alza intorno a lui e dice: “Signori, è stato un privilegio suonare con voi stasera”.
È veramente questo il solo e unico contributo che noi musicisti possiamo dare in questo momento della storia: andare coraggiosamente a fondo con la nave, sollevando lo spirito degli altri passeggeri? Penso che possiamo fare un po’ meglio.
 che intendo con questa affermazione, però, merita qualche spiegazione e ulteriore approfondimento.
* * *
Potremmo iniziare chiedendoci: cosa rende una cultura degna di essere sostenuta? Una risposta che mi viene in mente è: la bellezza.
Dalla bellezza onesta e spregiudicata di un tempio Zen o di un flauto shakuhachi, alla bellezza ornata di una cattedrale rinascimentale italiana o di un’opera pucciniana. L’estetica è un prodotto del tempo e di un qualche luogo. Ma la risposta umana alla bellezza e l’impulso a crearla sono istintive e trascendono l’umanità stessa.
Lo sappiamo perché anche altri animali sono ossessionati dalla bellezza. Durante gli anni ’40, la musicologa inglese Len Howard si dedicò allo studio della musica degli uccelli selvatici. Secondo il racconto di Theodore Barber del suo lavoro (nel meraviglioso libro The Human Nature of Birds), la Howard
“… ha conosciuto personalmente molti di questi uccelli, e ne ha conosciuti alcuni per tutta la loro vita. E (…) Il suo studio intimo delle canzoni degli uccelli ha portato a (…) conclusioni sorprendenti:
  1. Gli uccelli, come gli umani, si godono il loro canto. Si divertono a cantare e si divertono ascoltando anche i loro rivali territoriali cantare.
  2. Gli uccelli non solo trasmettono messaggi ed esprimono sentimenti ed emozioni con il loro canto, ma a volte cantano semplicemente perché sono felici.
  3. [Gli uccelli della stessa specie] possono essere identificati in modo affidabile mediante le loro variazioni “uniche” rispetto al canto della specie. In realtà, gli uccelli della stessa specie apparentemente differiscono nel talento musicale tanto quanto gli umani. Questa variabilità inaspettata è dovuta all’interpretazione individuale del tema, all’abilità tecnica nell’esecuzione, allo “stile di interpretazione” e alla qualità o timbro della voce. Alcuni canterini poco capaci si trovano in tutte le specie di uccelli canori. . . . Ci sono anche “musicisti” molto superiori tra gli uccelli canori. Ad esempio, per un periodo di pochi giorni, un merlo di talento ha composto in modo creativo e spontaneo la frase di apertura del Rondò nel concerto per violino di Beethoven. (Non l’aveva mai sentito prima). Durante il resto della stagione ha variato l’interpretazione della frase; “Il ritmo è stato accelerato verso la fine. . . un effetto rubato che aggiunge brillantezza alla performance“.
Certo, c’è molta differenza fra il canto di un uccello e l’esibizione della sinfonia “Resurrezione” di Mahler; quest’ultimo brano è molto più complicato (e costoso) da produrre e richiede molta cooperazione. La musica e le altre arti si sono sviluppate fino agli estremi della complessità in gran parte come risultato del processo di professionalizzazione, che può essere capito solo in termini antropologici e storici.
I cacciatori-raccoglitori avevano la musica, ma era relativamente semplice … semplice e bella come il canto degli uccelli. Con mezzi più potenti di produzione del cibo – l’agricoltura –  siamo stati in grado di produrre eccedenze alimentari che potevano essere immagazzinate. Ciò ha permesso la costruzione delle città e la divisione del lavoro a tempo pieno. L’Homo Sapiens esiste da circa 350.000 anni, ma l’agricoltura è uno sviluppo relativamente recente, a partire da circa 10.000 anni fa. È stato un cambiamento fondamentale. Per la prima volta nella storia umana, abbiamo avuto la scrittura, il denaro e armi molto più sofisticate e altri strumenti. Vediamo anche artisti e musicisti a tempo pieno.
Ognuno di questi sviluppi e ciascuna di queste tecnologie ci ha cambiato. Ad esempio, Marshall McLuhan e altri hanno sottolineato che l’uso della scrittura, e in particolare della scrittura alfabetica, tendeva a spingere i nostri processi mentali in certe direzioni.
Come diceva il classicista Eric Havelock,

… È solo quando il linguaggio viene scritto che diventa possibile pensarci. Il mezzo acustico, incapace di visualizzare, non ha ottenuto il riconoscimento di fenomeno completamente separabile dalla persona che lo ha usato. Ma nel documento alfabetico il mezzo è diventato oggettivato. Eccolo, riprodotto perfettamente nell’alfabeto. . . non è più una funzione di “me” l’oratore, ma un documento con un’esistenza indipendente.


Il primo documento importante in linguaggio alfabetico è stata la Bibbia: il Libro. E fino ad oggi milioni di persone considerano questo documento con timore reverenziale come una fonte quasi animata di assoluta saggezza e autorità.
Johann Sebastian Bach era egli stesso un devoto del Libro, e viveva non lontano dal luogo in cui nacque la stampa, un’invenzione che intensificò ulteriormente l’impatto psicologico della parola scritta, che enfatizzò (attraverso i caratteri mobili) l’intercambiabilità dei caratteri alfabetici, e consentendo alla maggioranza della popolazione di possedere e leggere Bibbie stampate. La macchina da stampa ha anche dato spunti agli inventori ad esplorare nuovi utilizzi per le parti intercambiabili, contribuendo così alla diffusione della rivoluzione industriale.
Se la scrittura di parole rendeva il pensiero umano più razionale e sequenziale, la scrittura musicale aveva un effetto analogo. Piuttosto che essere memorizzati, i brani potevano essere annotati e letti più tardi, forse da qualcun altro che non aveva mai ascoltato la musica prima. I brani poterono diventare ancora più complicati, ma comunque “ricordati” sulla carta. I brani poterono assumere un’esistenza propria; potevano essere comprati e venduti.
Ogni nuovo vantaggio tecnologico implica la potenziale perdita di alcune abilità precedenti. La scrittura, come ha fatto notare Platone, cancella la memoria. Allo stesso modo, fare affidamento sulla notazione musicale fa poco per favorire la capacità di improvvisare. Chiunque abbia passato del tempo in un’orchestra professionale sa che la maggior parte dei suonatori di archi classici sono spettacolari lettori di visioni, ma improvvisatori assolutamente inetti (anche se questo trend sta un po’ cambiando). Quante volte mi è stato chiesto da un pubblico improvvisato “Suonaci una melodia” … richiesta a cui ero capace di rispondere soltanto, in modo abbastanza inetto, “Ma non ho lo spartito con me . . . “.
E così il progresso è di solito un compromesso. E come l’evoluzione biologica, è solo temporaneamente “direzionato”. L’evoluzione non ha un obiettivo finale in mente; è solo un infinito processo di adattamento. Spesso porta a vicoli ciechi. Tutte le specie alla fine si estinguono e, a volte, un gran numero di specie si estingue tutto in una volta. Allo stesso modo, l’evoluzione culturale sembra procedere in cicli: negli ultimi diecimila anni sono sorte circa 24 civiltà, ma tutte hanno avuto la tendenza a passare attraverso un processo di espansione e poi di collasso. Con il nostro cervello linguistico, tendiamo ad attribuire significati cosmici a questi guadagni – e spesso a rapide perdite – di complessità. Ma alla fine, non si tratta di dèi sorridenti o arrabbiati, non si tratta dell’ingegno umano o della decadenza morale collettiva: questo processo riguarda piuttosto la “capacità di carico dell’ambiente”.
* * *

… Confinandoci all’interno di un universo progettato dall’uomo e quindi “antropo-centrico”, ci separiamo dalla vera fonte dell’arte, che è la natura.
Nella sua teoria della cultura, l’antropologo Marvin Harris localizzò le arti in quella che chiamò la sovrastruttura della società, insieme a religioni e ideologie. Nella formulazione di Harris, la sovrastruttura e la struttura (politica, sistema economico) della società tendono principalmente a rispondere ai cambiamenti nella infrastruttura, che è l’interfaccia tra società e natura, i mezzi di produzione e riproduzione. Con un tipo di infrastruttura (caccia e raccolta), otteniamo una serie coerente di strumenti, pratiche religiose e modi di organizzare la società, in tutto il mondo. Con un altro tipo di infrastruttura (le prime forme di agricoltura) vediamo l’ascesa dei regni, l’apparizione delle religioni cielo-dio, la scrittura, e così via – e ciò vale sia in India, Cina, Centro America o Mesopotamia.
Nella visione di Harris la rivoluzione industriale e gli schiaccianti cambiamenti sociali che ne derivavano – la crescita della classe media, il credito, la pubblicità, il marketing di massa, la propaganda, i movimenti politici di massa – non avvenivano principalmente a causa di letteratura, musica o sforzi artistici; si sono verificati in gran parte perché abbiamo scoperto nuove e ricche fonti di energia. L’espressionismo astratto non ha guidato i cambiamenti sociali, culturali e psicologici del ventesimo secolo; piuttosto, l’arte di Pollock, Kline e de Kooning emerse in risposta allo sviluppo della fotografia e della psicoanalisi e all’alienazione sociale e personale provocata dall’industrialismo. Con riproduzioni fotografiche a colori dovunque disponibili a basso costo, l’arte rappresentativa è sembrata priva di sensi e inutile. Invece di dipingere le persone e la natura, il lavoro dell’artista era ora di rappresentare l’interno della psiche. Allo stesso modo, la musica elettronica – compresa la musica rock amplificata – ha seguito l’elettrificazione della società, non l’ha ispirata.
Le condizioni materiali cambiano, allora la coscienza cambia; e nuove forme d’arte ne conseguono per esprimere una mutevole consapevolezza. A volte l’artista appare come un rivoluzionario o un critico sociale – da Woody Guthrie a Rage Against the Machine, o ai Ghetto Boyz. Altre volte, l’artista è poco più di uno strumento commerciale o politico.
In entrambi i casi, gli sforzi dell’artista contribuiscono a definire i termini con cui la società adatta la coscienza al suo regime infrastrutturale. L’artista modifica la cultura, ma non può farlo nel vuoto. Dove ci sono motivi per un movimento rivoluzionario, l’artista può contribuire a dargli identità e coesione. D’altra parte, impiegato dalle élite della società, l’artista può forgiare immagini che galvanizzano la cooperazione entusiasta, sia a sostegno di un candidato politico, sia a servizio dei progetti di vendita di più cereali per la colazione … o di una guerra.
L’enorme complessità della moderna civiltà industriale teoricamente offre uno spazio di creatività molto più ampio di quanto non fosse nelle società precedenti: ogni artefatto industriale, dalla graffetta al mouse del computer, al laser scanner nel negozio di alimentari fino allo sportello di un frigorifero deve essere progettato. Nel mondo industriale moderno siamo perciò circondati da “arte” con un grado che non ha paragoni in qualsiasi società precedente. Gli abitanti delle città devono esercitare uno sforzo, talvolta considerevole, per vedere una superficie “non progettata” da un altro umano, o per ascoltare un suono non generato dagli esseri umani o dalle loro macchine, incluse le macchine per la riproduzione musicale.
Inoltre, le densità di popolazione offerte dalla città moderna e quindi le opportunità di interazione tra artisti, consentono uno straordinario livello di sviluppo della tecnica. Ci sono più virtuosi del pianoforte oggi vivi, che suonano a un livello superiore di perfezione tecnica, che in qualsiasi altro momento della storia. Lo stesso vale per quasi tutti gli altri mezzi: ci sono scultori, pittori, calligrafi, ballerini e altro ancora, altamente qualificati come mai prima.
Ma paghiamo un prezzo molto alto per questa “miniera d’oro” artistica. Confinandoci all’interno di un universo progettato dall’uomo e quindi “antropo-centrico”, ci separiamo dalla vera fonte dell’arte, che è la natura.
La perfezione tecnica e la sofisticazione dei media non possono sostituire la naturalezza del gesto. Rischiamo di uscire da un cinema sazi e insensibili. Saliamo in macchina, ascoltiamo musica e andiamo a casa. Accendiamo la televisione e la guardiamo di tanto in tanto mentre divoriamo un sandwich superfarcito. La parvenza di vita diventa sempre più convincente, mentre la realtà della vita scompare  … in una foresta, ben delimitata da qualche parte oltre la vista dall’autostrada.

* * *


Tuttavia, come ho cercato di trasmettere anche poco fa, l’ambiente attuale per le arti – la società industriale e urbana – è fondamentalmente insostenibile. Il che ci porta al tema del nostro futuro. La società tra qualche decennio opererà in modo molto diverso da come funziona ora, ovvero non funzionerà affatto. Alla base di questo cambiamento ci sarà il nostro regime energetico: la società dovrà allontanarsi dai combustibili fossili di questo secolo per scongiurare un cambiamento climatico catastrofico. E se così non fosse, comunque, i combustibili fossili si allontaneranno da noi, a causa del loro esaurimento. In un modo o nell’altro, la nostra infrastruttura della società si muoverà, e questa sarà probabilmente una profonda rottura storica che avrà la portata della stessa rivoluzione industriale, forse paragonabile alla rivoluzione agricola di 10.000 anni fa.
È allettante pensare che possiamo semplicemente scollegare le centrali elettriche a carbone, collegare i pannelli solari e continuare a vivere essenzialmente come facciamo ora. Ma questa visione è profondamente sbagliata.
Per almeno due essenziali ragioni.
Innanzitutto, è importante comprendere le differenze fondamentali tra le fonti energetiche rinnovabili intermittenti come il solare e il vento e i combustibili fossili, che sono esauribili ma disponibili “su richiesta”. Di recente sono stato coautore di uno studio, con David Fridley del Lawrence Berkeley National Laboratory, intitolato Our Renewable Future (“Il nostro futuro rinnovabile”, Ndt) , in cui abbiamo esaminato il modo in cui l’utilizzo di energia dovrà cambiare per accogliere queste nuove fonti di energia. Abbiamo concluso che l’utilizzo di energia in nazioni altamente industrializzate come gli Stati Uniti dovrà diminuire in modo significativo, e interi settori – trasporto, produzione e agricoltura – dovranno essere trasformati per funzionare sull’elettricità piuttosto che sui combustibili gassosi o liquidi. I nostri sistemi attuali sono stati costruiti per adattarsi ai punti di forza delle fonti di energia che abbiamo utilizzato finora; quasi tutto richiederà un ripensamento per sfruttare le qualità intrinseche dell’energia solare ed eolica. Avrebbe senso, ad esempio, decentrare i sistemi, renderli più distribuiti e localizzati e utilizzare l’energia quando è disponibile, piuttosto che aspettarsi di usarla 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Ma c’è un’altra ragione per cui sarebbe sbagliato pensare di poter continuare a vivere essenzialmente come facciamo ora e, in seguito, fare la transizione energetica: la nostra crisi ecologica non riguarda solo il cambiamento climatico. Se i cambiamenti climatici fossero l’unico risultato della nostra sfida ambientale, allora tutto ciò che dovremmo fare è eliminare le emissioni di carbonio e saremmo a posto. Non fraintendetemi: il cambiamento climatico è di gran lunga il peggior dilemma dell’inquinamento che gli esseri umani abbiano mai affrontato, e se non lo affrontiamo tutte le creature della Terra potrebbero presto trovarsi alle prese con una corsa … infernale. Tuttavia, oltre al cambiamento climatico affrontiamo anche estinzioni di specie di massa dovute alla perdita dell’habitat, insieme all’esaurimento di suolo, acqua e minerali. La nostra popolazione continua a crescere anche se habitat e risorse scompaiono. Abbiamo bisogno di un modo più completo di inquadrare la crisi ecologica. Preferisco parlare di overshoot (sfondamento dei limiti ecologici, Ndt), un termine familiare agli ecologi della popolazione. A causa di un “temporaneo” supporto energetico assolutamente spropositato, abbiamo aumentato la nostra popolazione e il consumo oltre i livelli che possono essere mantenuti nel lungo termine e stiamo erodendo la capacità della Terra di sostenere le generazioni future. L’unico modo per gestire l’overshoot è di riconsiderare l’intera “impresa umana”.
In un modo o nell’altro, sia in seguito all’adattamento che al collasso, dovremo guardare avanti verso un futuro caratterizzato da tassi globali più bassi di consumo di energia e materiali. Ciò solleva la questione dell’equità: ci saranno pochi che vivono e prosperano nel lusso e nell’abbondanza mentre moltitudini di persone di fame? Questa è una ricetta sicura per le rivoluzioni, i colpi di stato e l’ascesa dei dittatori. O impareremo a condividere risorse e scarsità,scegliendo di ridurre la nostra popolazione a dimensioni sostenibili?
Il nostro futuro avrà anche meno complessità. Questo perché la complessità della società richiede energia. Quindi, se è disponibile meno energia, ciò si tradurrà inevitabilmente in una minore globalizzazione e in economie più localizzate su scala ridotta. Il nostro futuro presenterà un clima meno stabile. Avremo bisogno di più resilienza, maggiore adattabilità e ridondanza nei sistemi critici. Avremo bisogno di imparare come adattarci ai cicli della natura piuttosto che immaginare di poter dominare il nostro pianeta e passare ad altri pianeti una volta che ci siamo fatti strada distruggendo questo.
* * *
Se, piuttosto che semplicemente collassare, la società si adatta diventando meno centralizzata, più localizzata; se la popolazione e il consumo (specialmente nei paesi ricchi) si restringono anziché crescere continuamente, allora come saranno influenzati gli artisti da questa straordinaria trasformazione? Come potrebbero aiutare a guidarlo? Forse la risposta ovvia è quella di produrre opere aventi per tema la sostenibilità: siano film, concerti, canzoni country-western, quartetti d’archi e/o colonne sonore di giochi per computer. Tuttavia, penso che potremmo anche essere più “creativi” nel nostro modo di pensare al riguardo.
Innanzitutto, penso che dobbiamo essere onesti con noi stessi. I prossimi anni e decenni saranno pieni di sfide di ogni tipo, prevedibili e imprevedibili. Ci saranno momenti e passaggi quanto meno “turbolenti”, che potrebbero non fornire quella “base” stabile per una carriera tranquilla e ininterrotta in un’orchestra sinfonica o anche in una rock band itinerante. È già abbastanza difficile essere un musicista di successo nel mondo così com’è, ma qualcuno (o qualcosa) sta letteralmente per spostare i pali della porta, sgonfiare il pallone e riscrivere le regole del gioco. Ciò non significa che fare musica non valga la pena. Significa solo che sarà importante evitare una visione ristretta, e prestare attenzione a ciò che sta accadendo nella società nel suo insieme, in modo da essere in grado di adattarsi rapidamente e di essere in grado di sfruttare le opportunità.
Desidero perciò suggerire tre “ambiti di lavoro” e di progetto, validi per i musicisti e per altri artisti per il resto di questo secolo:
1. Preservare le più grandi realizzazioni della nostra cultura. I musicisti tendono a pensare che le opere di Bach, Mozart, Ellington e di altri grandi compositori costituiscono un patrimonio comune che durerà per sempre. C’è da riflettere però su quanta parte dell’antica cultura egiziana, greca e romana è andata perduta quando queste civiltà sono cadute. Gli spartiti musicali stampati su quella loro carta speciale si disintegreranno e non dureranno nel tempo; così sarà per il nastro magnetico, per i CD e per le unità e hard disk del computer. La musica non può sopravvivere se non viene continuamente mantenuta attuale nelle esibizioni dal vivo. Se amiamo davvero questa musica, tocca a noi portarla avanti, suonarla e insegnare le capacità necessarie e soddisfacenti della performance musicale alle giovani generazioni.
2. Aiutare la società ad adattarsi. Man mano che le società cambiano, spetta agli artisti riflettere i sentimenti e le esperienze delle persone, trasformati in un’arte che ispira e guarisce. Pensate a come Beethoven ha contribuito a riflettere gli inizi della democrazia moderna, il movimento romantico nella poesia e la filosofia, e la nascente rivoluzione industriale – nella musica che ha spezzato il formalismo aristocratico delle generazioni precedenti. Oppure, ricordatevi di come Shostakovich ha tradotto l’assedio orribile e protratto di Stalingrado nella sua tragica ma anche fiduciosa Ottava Sinfonia. Ora pensate al futuro. Abbiamo intrapreso un secolo in cui tutti i sistemi che abbiamo costruito dall’inizio della rivoluzione industriale – il nostro sistema alimentare, i nostri sistemi di trasporto, il nostro sistema energetico, i nostri sistemi di edifici, il nostro sistema finanziario e forse i nostri sistemi politici e di governo – si dimostreranno insostenibili. Allo stesso tempo, il mondo naturale si muoverà e cambierà attorno a noi in modi che non hanno precedenti. Tutto sarà soggetto a cambiamento, alla riprogettazione e alla negoziazione. Questo potrebbe rivelarsi il più grande momento di passaggio della storia. Gli artisti avranno l’opportunità e il dovere di tradurre la tumultuosa esperienza umana che ne risulterà in parole, immagini e musica che aiutino le persone non solo a comprendere mentalmente, ma a fare effettivamente i conti con gli eventi intorno a loro. E la società avrà bisogno del servizio degli artisti come mai prima, mentre ri-cuciamo e ri-tessiamo il tessuto della comunità locale.

3. Fare quello che fanno sempre gli artisti, quello che fanno anche gli uccelli: celebrare la bellezza della vita. Il nostro compito (come artisti e musicisti) è farlo bene, anzi meglio che mai. La vita è preziosa e il nostro pianeta è prezioso.


Come ha scritto e cantato Joni Mitchell:
Don’t it always seem to go
That you don’t know what you’ve got ’til it’s gone?
They paved paradise

And put up a parking lot


 Non ti pare che vada sempre a finire così,
Che ti rendi conto di quel che avevi solo quando l’hai perduto?
Hanno asfaltato il paradiso

E ci hanno messo su un parcheggio.


Forse il lavoro più importante dell’artista, dopo tutto, è ricordarci che siamo già in paradiso.
E che non c’è bisogno di nessun parcheggio.

 

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