Orto di Montagna

Ma la “collassologia” è una scienza? (da “The Conversation” … cioè: capire i perché della Resilienza)

COS’E’:
Questo articolo contiene una traduzione di un post originale, che si può trovare qui
CHI (AUTORE):
Jacques Igalens Professore di Scienze gestionali all’Università di Tolosa, Francia. Ha fondato AGRH (Association Francophone de Gestion des Ressources Humaines) e la rivista ROR (Revue de l’Organisation Responsable). Ha anche diretto la TBS (Toulouse Business School). Ha pubblicato una decina di titoli nel suo settore di specializzazione, la CSR, cioè la Responsabilità Sociale d’Impresa, oltre a un centinaio di articoli su vari media.
QUANDO: Pubblicato a novembre 2017 sul sito originale

PERCHE’ L’ARTICOLO E’ QUI … (e una nota dalla Redazione di Orto di Montagna: “questo articolo ci aiuta a capire l’attuale dibattito, e le analisi esistenti, sulle possibilità di ‘collasso’ che si intravedono per l’attuale società ovvero per la civiltà termo-industriale. Da qui prendono le mosse anche molte motivazioni per studi, progetti e pratiche concrete di resilienza”)


(trad. a cura di Ancilla R.)

Nel 1972 viene pubblicato il rapporto sui “Limiti dello sviluppo” (in francese, con il titolo “Halte à la croissance?”, cioè:  Stop alla crescita?”, NdT/R),  firmato dal Club di Roma e realizzato sulla base del lavoro commissionato a un gruppo di ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology, Boston – NdT).
Questo lavoro non ha precedenti:  il collasso del nostro sistema economico ed ecologico è delineato a partire da un’analisi sistemica di relazioni fra la crescita demografica, il consumo e la produzione di energia.

Le reazioni molto controverse a questo rapporto hanno nascosto il fatto che, per la prima volta, il concetto di superamento dei limiti e collasso del sistema (overshoot and collapse), erano concepiti su base scientifica. Certo, numerosi pensatori, in particolare romanzieri e filosofi, avevano paventato la scomparsa della nostra civiltà in seguito a un conflitto mondiale. Ma, con il Club di Roma, si tratta di vere predizioni sulla base di modelli i cui fondamenti sono scientifici.


L’ambiente in prima linea
E’ giocoforza constatare che queste predizioni non si siano  – fortunatamente – ancora verificate, nonostante la catastrofe sia prevista entro il 2030, il che dà ragione a coloro che avevano, appena pubblicato il rapporto, criticato sia le ipotesi che il metodo di J.W. Forrester, cioè la dinamica dei sistemi.
I lavori del Club di Roma non hanno conquistato molti discepoli, eccetto, salvo forse, W.R. Catton ma l’idea di un collasso doveva fare il suo cammino per altre strade. Essa fu intravista essenzialmente a partire da considerazioni ecologiche e, più raramente, a partire da considerazioni economiche.

Nel 1988, ad esempio, lo storico americano Joseph Tainter ne “Il collasso delle società complesse” (The Collapse of Complex Societies), sostiene che le cause osservabili del collasso, come il degrado ambientale, risultano da una diminuzione del rendimento dell’energia, dell’educazione e dell’innovazione tecnologica.


La cattiva gestione umana
Ma, se la “collassologia” è una scienza, si può considerare che il suo punto di partenza risiede in un saggio apparso nel 2004 e tradotto in francese (e in italiano, NdT) nel 2006,  con il titolo “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere” (How Societies Choose to Fail or Survive), di Jared Diamond. In questo testo, l’autore che aveva ottenuto il premio Pulitzer per un saggio precedente dal titolo “Armi Acciaio e Malattie”, inizia descrivendo l’ambiente del Montana e fa capire ai suoi lettori come i fattori che via via svilupperà nel corso del suo lavoro, sono già presenti in questo Stato americano, spesso considerato  ancora come un territorio ben conservato.
In seguito descrive società del passato che sono sparite (l’Isola di Pasqua, le isole Pitcairn, i Maya, ecc.) e mette in rilievo le cause di queste estinzioni: degrado ambientale, cambiamenti climatici, mancanza di adattamento, disaggregazione dei legami sociali. Quest’opera sarà criticata, soprattutto l’interpretazione che fa Diamond del caso dell’isola di Pasqua, ma avrà nondimeno una forte risonanza mediatica.
Un articolo importante apparso nella rivista NATURE e firmato da 22 autori (sotto la direzione di Antony Barlosky di Berkley) intravede nel 2012 la possibilità di un punto di non-ritorno nel degrado ambientale, negli effetti cumulativi del riscaldamento climatico, nell’esaurimento delle risorse, nel degrado del terreno dovuto alle fertilizzazioni e ai pesticidi di cui è saturo.

Si tratta di una versione più scientifica di quella di Diamond, ma l’idea generale è identica: la scarsa osservazione dei fenomeni, la loro  insufficiente comprensione e la maldestra gestione dei problemi  dell’ambiente, trascinano le nostre società verso il collasso.


Una disciplina … balbuziente 
Sulla base di queste pubblicazioni e di molte altre, aumentate dai dibattiti che hanno generato, un nuovo concetto è dunque venuto a galla: la “collassologia” della quale due autori francesi hanno reclamato la paternità, Pablo Servigne e Raphael Stevens.
Nel libro “Comment tout peut s’effondrer. Petit manuel de collapsologie à l’usage des générations présentes” (cioè: Come tutto può collassare. Piccolo manuale di collassologia ad uso delle generazioni presenti – NdT) i due autori ne danno la seguente definizione:
(la Collassologia è)  “L’ esercizio trandisciplinare di studio del tracollo della nostra civiltà industriale e di quello che potrebbe seguirne, appoggiandosi sulle due modalità cognitive che sono la ragione e l’intuito e sui lavori scientifici riconosciuti”.

Si tratta semplicemente di un concetto – e questo non è poco – ovvero dell’embrione di ciò che potrebbe diventare un ramo della scienza? Sul loro sito web collapsologie.fr, i due autori qualificano la disciplina come ancora “balbuziente” ed enumerano una grande quantità di soggetti che la costituiscono. Eccone alcuni: limiti termodinamici e frontiere planetarie, antropologia e sociologia del collasso (survivalismo, immaginario, violenza, mutualità, cooperazione, resilienza, ecc.)

Riscrivere i nostri “miti fondativi”
Questo elenco parziale dimostra il carattere multidisciplinare della nascente “collassologia”, e se gli autori si augurano che essa diventi “transdisciplinare” questo carattere deve essere costruito. Perchè, a parte il termine collasso, non si capisce, fin qui, quale paradigma, quali fondamenti comuni, avvicinino i soggetti enumerati.
Il fatto di condividere un concetto – ed evidentemente il collasso è un concetto – non costruisce di per sé una disciplina scientifica, che presupppone una articolazione di concetti e, nel caso presente,  questa articolazione è diversa in biologia, in fisica, in antropologia, in psicologia, ecc.
Detto questo, la collassologia sembra nondimeno destinata a un brillante avvenire: essa dovrebbe portare ad una riscrittura dei nostri miti fondativi a proposito della necessità della crescita, dei benefici della scienza o del carattere insuperabile del liberalismo economico, per esempio.
La collassologia non produrrà nuove conoscenze (sono le scienze dalle quali essa dipende che lo faranno) ma produrrà una nuova narrazione della nostra vita in comune, e ciò è certamente altrettanto utile.

Un pensiero su “Ma la “collassologia” è una scienza? (da “The Conversation” … cioè: capire i perché della Resilienza)

  1. Guido Dalla Casa

    …E pensare che, dopo 45 anni, il grafico principale (BAU) de “I limiti dello sviluppo” indicava per questo decennio proprio quello che sta accadendo (Popolazione e inquinamento in aumento inesorabile, produzione industriale e alimenti che hanno superato il picco e iniziato la discesa). E nessuno ne parla!!

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